Una canottiera non basta quando si fa sera
lunedì 9 aprile 2012
di Claudia Svampa
Giuliano Ferrara scrive sul Foglio una messa cantata a Bossi tale che il Giornale la sintetizza con un “Nessuno infanghi la canottiera che cambiò il Paese”. Poi aggiunge una portentosa lista di Chissenefrega maiuscoli all’indirizzo dei diplomi, delle lauree e dei macchinoni a uso del cerchio magico, della Rosi Mauro e del suo boyfriend canterino, della moglie del Capo e delle sue stregonerie. Purché non si tocchi quella canottiera.
Ma viene da obiettare a Ferrara che certe volte è proprio grazie a una canottiera indossata troppo a lungo che ti becchi la polmonite. Succede che arriva l’imbrunire ed è tempo di coprirsi. Di pararsi dai colpi di vento improvvisi, o sottostimati. E ecco che zacchete, sei fregato!
Bossi con quella canottiera perennemente addosso è rimasto troppo esposto alle correnti. Questo è stato il suo più grande errore: non infilarsi una felpa quando si fa sera.
Poco importa quanto appassionino politicamente le ampolle del Po, i raduni di Pontida, la teatralità della base secessionista e delle camicie verdi sgargianti, o l’ideologia federalista di Gianfranco Miglio.
Conta invece la “parte indignata” che se in Ferrara “è morta, se mai sia vissuta” è, al contrario, viva e vegeta in molte persone, non solo leghiste, non solo padane.
Delle lauree e dei diplomi di figli e famigli, di “nere” che siedono alla vicepresidenza del Senato, di mogli arpie e fattucchiere, di autisti bancomat e culi nudi a questo paese interessa eccome. O almeno dovrebbe interessare parecchio.
Se è vero che questa pioggia di denaro che salda i conti è denaro degli italiani. Distratto ai suoi usi per essere speso a proprio piacimento.
Per paccate di titoli di studio farlocchi acquistati su eBay sezione Regno Unito. Per accaparrarsi scuole, case, terrazze, e piastrellame. Per spesare ristoranti del Trota, automobili del fratellone del Trota e arcate dentali del fratellino del Trota.
Se questo è accaduto non c’é canottiera inconsapevole e lisa e solitaria che lo giustifichi. E tantomeno i Chissenefrega di Ferrara e il suo conclusivo “chi ha il diritto di parlare?”.
Ha il diritto di parlare ogni singolo militante di partito che ci ha messo anima e core nel consegnare potere e fiducia nelle mani del suo leader. Hanno diritto di parlare tutte le persone oneste che nella Lega sono state schizzate immeritatamente dal fango dei disonesti.
Ma soprattutto il diritto di parlare appartiene a tutti gli italiani che ancora hanno voglia di credere in questo Paese. Che ancora pretendono di essere governati con serietà e onestà. Che ancora pensano di investire il loro tempo nello studio, nella cultura, nell’impegno dentro le aule universitarie , quelle vere .
Ecco, non ha solo il diritto, ma anche il dovere di parlare chiunque creda che non sia ancora arrivato il momento di arrendersi alla corruzione e al nepotismo. Chi ritiene di non doversi sottomettere alla litania del così fan tutti che illumina le colpe di ieri di Rutelli per snellire quelle di oggi di Bossi.
Ha il dovere di parlare chi non intende giustificare attraverso l’esaltazione di un passato limpido o glorioso un presente grondante di errori e responsabilità. E chi ha il dovere di parlare ha diritto di ripudiare quel Chissenefrega di troppo, quanto i musici di Kooly Noody.
Perché invece a noi frega.
Delle lauree e dei diplomi di figli e famigli, di “nere” che siedono alla vicepresidenza del Senato, di mogli arpie e fattucchiere, di autisti bancomat e culi nudi a questo paese interessa eccome. O almeno dovrebbe interessare parecchio.