Islam politico e autunno occidentale
martedì 1 novembre 2011
di Safir
L'islam politico è un fenomeno che ormai non può e forse non deve essere fermato, ma l'avanzata islamica crea preoccupazione sia nel mondo arabo che in Occidente, dove già si parla di "un autunno islamista" dai tratti iraniani.
In Tunisia, il successo di Ennahda fa temere che possa essere rimesso in discussione il modo di vivere delle donne che dispongono di uno statuto giuridico invidiato nella regione (la legge sul divorzio, così come l'abolizione della poligamia sono stati tra i più grandi successi, esempio in tutto il Maghreb), ma anche in Libia, le dichiarazioni dell'ex capo del Consiglio nazionale di transizione, Abdel Jalil, sull'adozione della legge islamica hanno suscitato inquietudine e la "sedimentazione religiosa" comincia ad avere i suoi effetti. Il nuovo governo che sarà formato a breve, sotto la guida di Abdul Raheem Al Qib, dovrà raccogliere o scansare talune tentazioni.
Anche Ghannouchi non sembra rassicurare più di tanto l'Occidente poichè è considerato assai vicino al leader dei Fratelli Musulmani, Yussuf Qradawi che vive in Qatar, Paese da cui sono giunti finanziamenti per Ennahda. Quale potrà essere il livello di indipendenza della nuova leadership tunisina, su tali basi? Anche le sue recenti dichiarazioni su un tema caldo come l'immigrazione lasciano da pensare. Ghannouchi ha voluto sottolineare come la Tunisia "non molesterà più l'Europa con i suoi giovani emigranti clandestini, in quanto non vogliamo più far dono all'Europa dei nostri giovani diplomati".
In Tunisia Ennahda, una volta conquistato il potere, mostrerà tutti i propri limiti. Dovrá "fare i conti" con i partiti salafiti esclusi dall'agone elettorale, ma che hanno un seguito nel Paese e potranno ricostituire quel dissenso che sotto il precedente regime non ha potuto esprimere la sua influenza.
Ennadha sarà costretta a scendere a compromessi e a cercare alleanze per formare un Governo credibile, non avendo ottenuto la maggioranza. Ci sarà un periodo di transizione fino a quando gli altri partiti riusciranno ad organizzarsi. Nel frattempo, la gente si renderà conto che la capacità dei gruppi islamici di trovare soluzioni miracolose è una mera illusione. Nuovi scontri caratterizzeranno questa fase e saranno soprattutto i partiti più fondamentalisti a beneficiarne.
D'altro canto, mentre in passato gli islamici ottenevano la loro legittimità dalla lotta contro i presidenti Mubarak e Ben Ali, ora dovranno ritrovare una loro identità.
Ottenuta la libertà, i cittadini arabi non accetteranno più nuove imposizioni. Finita l'epoca del leader unico, del partito unico, i movimenti laici dovranno vigilare e creare delle barriere di fronte ai rischi di derive islamiste.
I giovani che hanno dato vita alla 'primavera araba', seguendo la parola di Obama ad Al Azhar, non devono ricadere in una società bloccata ma dovranno trovare la forza di andare oltre le facili spinte integraliste e dimostrare che una democrazia dell'islam è possibile.
L'islam politico guarda alla Turchia di Erdogan. Passato attraverso il laicismo del padre dei turchi, Ataturk, si è trasformato in un islam contemporaneo e cosmopolita, dove emerge una "grandeur neo-ottomana" che ambisce a divenire punto di riferimento nella regione, soprattutto in vista dei nuovi equilibri geopolitici che verranno.
Nubi tempestose si addensano poi sempre più minacciose in Medio Oriente dove, Siria & co. stanno vivendo la loro "primavera" e il processo di pace israelo-palestinese non trova alcun impulso in avanti. Anzi il clima viene ulteriormente esacerbato (e inaspettatamente) dalla proposta di Khaled, principe della famiglia saudita, di aumentare il premio da 100.000 a un milione di dollari per quanti rapiranno un soldato israeliano, in risposta alla taglia di 100.000 dollari posta da una famiglia israeliana sulla testa di un palestinese che ha commesso crimini nei propri confronti.
Mentre gli USA, i grandi artefici della stagione araba, vivendo anch'essi una dicotomia relazionale con Israele, stanno ricercando una vantaggiosa ricomposizione dello scacchiere mediorientale e nordafricano, preparandosi ad assestare il colpo finale al loro acerrimo nemico, l'Iran. E nuovi rapporti vanno definendosi tra le nuove compagini governative arabe e Israele, le cui prospettive non saranno rosee. Ma il crescente isolamento di Israele, dinnanzi alle profonde divisione dei suoi nemici, rischia comunque di aumentare la sua forza.
L'Europa, dal canto suo, se vorrà assumere un ruolo, dovrà assolutamente mostrare il suo peso politico e non lasciare soli i Paesi dell'area mediterranea; ma Lady Ashton non sembra aver colto l'attimo per modellare la prima tessera del mosaico. La Commissione europea, allo stesso modo, a parte le deboli proposte dei "partenariati di mobilità" per i paesi maghrebini, non sembra avere compreso che l'influenza su temi come sviluppo, democrazia, immigrazione e sicurezza, si gioca ora. Il rischio altrimenti continuerà ad essere quello di antagonizzare gli Stati membri che cercheranno singolarmente di aumentare la propria sfera di influenza nell'area senza costruire una base programmatica comune né costituire quella necessaria "massa critica", ad oggi unico motore di una sempre più debole Unione Europea.
In Tunisia Ennahda, una volta conquistato il potere, mostrerà tutti i propri limiti. Dovrá "fare i conti" con i partiti salafiti esclusi dall'agone elettorale, ma che hanno un seguito nel Paese e potranno ricostituire quel dissenso che sotto il precedente regime non ha potuto esprimere la sua influenza